“Come meditare” Jack Kerouac

Immaginate la scena.
Musica jazz in sottofondo, una sigaretta che brucia lenta fino a consumarsi, il fumo dei sigari che brucia gli occhi, il sapore dell’ultimo whisky ancora sulle labbra e il tipico mal di testa da sbronza che offusca la mente.
E al tavolino c’è Ti John, Jack Duluoz, Jean-Louis, o semplicemente Jack; comunque lo vogliate chiamare lui è sempre lui, il padre della beat generation, dalla prosa spontanea dallo stile ritmato e immediato.
Lui è Kerouac.
E seduto a quel tavolino sta scribacchiando s’un tovagliolo. Scrive una poesia.

– luci spente – 
autunno, mani strette, in istantanea 
estasi come una pera di eroina o morfina. 
la ghiandola nel mio cervello secernente 
il buon fluido felice (Fluido Santo) allorché 
mi ah-bbasso e tengo ogni parte del corpo 
giù in trance da puntomorto – Sanando 
ogni mio male – tutto cancellando – neppure 
resta il brandello di uno «spero-che-tu» o una 
Bolla di Pazzia, ma la mente 
libera, serena, spensierata. “Quando arriva 
un pensiero spuntando da lontano con la sua 
esibita figura d’immagine, lo freghi, 
lo sfreghi via, lo smonti e si fa 
smunto, e il pensiero non viene – e 
con gioia comprendi per la prima volta 
«Pensare è proprio come non pensare – 
Perciò non devo pensare 
mai 
più».

La poesia si intitola “Come meditare”.
L’ho scelta perché sono molto legata a Kerouac e sono affascinata dal suo stile e dalla forza nelle sue parole, dai suoi versi fuori dagli schemi e dalle regole, un po’ come lui che non riesce a trovare il suo posto nel mondo e rifugge dall’utopica (e vana) speranza del sogno americano, che cerca nella droga, nell’alcohol, in Dio e nei suoi viaggi, il vero sé stesso fuori dalle convenzioni sociali.

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